(English text below)
Alto Adige, un'estate di qualche anno fa. Stiamo camminando da parecchio, e non sono entusiasta. E andiamo troppo lenti. È che l'entusiasmo ci sta venendo meno, e questo ci fa rallentare. Questa valletta laterale sembrava interessante, da lontano, ma ora che siamo qui non la stiamo apprezzando troppo. Stiamo tagliando in orizzontale, su un versante ripido. È ormai da molto tempo che siamo in un ambiente uniforme, in mezzo ad un'intricata boscaglia di latifoglie, piccoli alberi giovani, bassi, fittissimi. Fa caldo, c'è umidità, il sentiero è strettissimo, non si riesce a procedere più velocemente di così, e la selva di piccoli tronchi ci impedisce di vedere più in là di un metro, a volte di meno. Fa quasi buio, perché la luce non passa attraverso i fittissimi alberelli, i cui rami dobbiamo continuamente spostare perché ci sbattono sugli occhi o sulle gambe. "Non è divertente", mi dico io, e rallento ancora, ripensando ad altri boschi ben diversi, in cui vorrei trovarmi in quel momento, le grandi foreste di conifere fatte di vecchissimi abeti, alti trenta, a volte quaranta metri, che si ergono come le colonne di una cattedrale, con i raggi di luce che colpiscono i muschi del sottobosco… qui, decisamente, non è così. Non si vede niente, questi alberelli insignificanti sono tutti uguali, i rami e il caldo umido ci rallentano il passo. Dove ci siamo cacciati… "Sto andando troppo lento, sto rallentando gli altri", mi dico. Di questo passo, chissà quando arriveremo.
Un fruscio, più in alto, alla nostra destra. Un rumore di rami spezzati, più vicino. "Un capriolo!", penso. Ma subito capisco che non può essere così. Non è passato nemmeno un secondo, ed il rumore si sta avvicinando troppo rapidamente, dall'alto, verso di noi. I caprioli non corrono come pazzi in verticale giù per un pendio ripido, in mezzo ad un'intricata e fittissima vegetazione, in direzione degli uomini. Non può essere un capriolo. Ed ecco che appare. Si trova esattamente davanti a me. È alto almeno tre metri, ed ha l'aria antica, vissuta, coperto di muschi e licheni, segnato dalle intemperie. Mi ricorda uno di quei trolls dipinti da Kittelsen, il grande artista norvegese: potrebbe uccidermi, ma è affascinante. Procede maestosamente, con calma, frenato anche lui dai rami degli alberelli. È un macigno, e peserà alcune tonnellate. Molto più alto di noi. È sceso dall'alto, alla mia destra, e sta rotolando verso valle, a sinistra, attraversando il nostro sentiero, cinquanta centimetri davanti al mio naso. Troppo pochi, decisamente. Rotola con determinazione, senza fretta, e non lo ferma niente. Faccio a tempo ad osservarlo per quattro, cinque secondi, durante i quali passo dallo sbigottimento alla coscienza di ciò che sta accadendo. Passato il sentiero, si tuffa nel bosco alla nostra sinistra, e si allontana in basso. Ora capisco il rumore. Il grande sasso si era distaccato, chissà perché, molto più a monte, magari in cima alla montagna che c'è alla nostra destra, sopra al bosco, e poi aveva rotolato attraverso il bosco fino a noi, rallentato dalla vegetazione, ed ora stava ancora continuando a rotolare più a valle, giù a sinistra, e sarebbe andato a colpire chissà cosa. Ci blocchiamo, tesi, in ascolto. Era un masso solo, isolato, non una frana, per fortuna.
No, non stavo camminando troppo lento, quella volta. Andavo esattamente alla velocità giusta.
South Tyrol, one summer, some years ago. We have been walking for a long time, and I am not enthusiast. And we are going too slow. The fact is that we are lacking enthusiasm, and this makes us slow down. This secondary lateral little valley had looked attractive, from afar, but now that we are here we are not enjoying it too much. We are cutting across a woodland, moving horizontally, on a steep side of the valley. We have been proceeding for a long time in a monotonous environment, through an intricate shrubbery of broad-leaved plants, small young trees, very dense, impenetrable. We feel hot and humid, the moisture is annoying, the trail is too narrow, it's impossible to walk quicker, and the jungle of small trunks prevents us from seeing farther than one meter, sometimes less than that. It's almost dark, because the light does not pass through the very thick shrubs, and we must continuously keep away from us the tree branches, hitting our eyes and legs. "It's not funny", I say to myself, and I slow down again, while thinking of other, very different woodlands, in which I would like to be now, the great conifer forests made of tall and ancient firs, thirty or sometimes forty meters high, standing like cathedral columns, with the light beams gently striking the underwood mosses... Here, decidedly, it's not so. One can see nothing, these little meaningless trees look all the same, their branches and the hot moisture slow down our steps. Bah, what a place have we chosen... "I'm walking too slow, I'm slowing down the others", I think. Going on at this speed, who knows when we'll reach our destination.
A wheeze, high over us, on the right. A noise of broken branches, nearer. "A roe deer!", I think. But I realize at once that it cannot be so. Less than one second has passed, and the noise is approaching us too rapidly, from above. Roe deer do not run madly in a vertical direction, down a steep slope, through a thick and dense shrubbery, towards humans. It cannot be a roe. And, suddenly, it appears. It's exactly in front of me. It's at least three meters high, and has an ancient appearance, worn-out, covered with moss and lichens, weather-beaten. It reminds me of one of those trolls, painted by Kittelsen, the great Norwegian artist: it could kill me, but it's fascinating. It goes on its way majestically, calmly, its speed limited by the tree branches, like ours. It's a boulder, weighting some tons. Much taller than us. It came down from above, from the right side of our trail, and it's rolling downwards, to the left, down the valley, crossing our path some fifty centimeters in front of my nose. Too near, decidedly. It's rolling resolutely, with no haste, and nothing will stop it. I can keep watching it for four, five seconds, while I pass from astonishment to the full awareness of what is happening. It crosses our trail, then it drops into the woods, on our left side, and goes down, away. Now I can understand the reason of that noise. The great stone had separated from the mountain rocks, who knows why, in a much higher place, probably near the top of the mountain at our right side above the woods, and had kept rolling down the forest, to us, slowed down by the vegetation, and was now still rolling down the valley on our left, going to hit some unpredictable place. We stand still, tense, listening. It was a single rock, an isolated one, not a large rockfall, luckily.
No, I was not walking too slow, that time. It was exactly the right speed.
Alto Adige, un'estate di qualche anno fa. Stiamo camminando da parecchio, e non sono entusiasta. E andiamo troppo lenti. È che l'entusiasmo ci sta venendo meno, e questo ci fa rallentare. Questa valletta laterale sembrava interessante, da lontano, ma ora che siamo qui non la stiamo apprezzando troppo. Stiamo tagliando in orizzontale, su un versante ripido. È ormai da molto tempo che siamo in un ambiente uniforme, in mezzo ad un'intricata boscaglia di latifoglie, piccoli alberi giovani, bassi, fittissimi. Fa caldo, c'è umidità, il sentiero è strettissimo, non si riesce a procedere più velocemente di così, e la selva di piccoli tronchi ci impedisce di vedere più in là di un metro, a volte di meno. Fa quasi buio, perché la luce non passa attraverso i fittissimi alberelli, i cui rami dobbiamo continuamente spostare perché ci sbattono sugli occhi o sulle gambe. "Non è divertente", mi dico io, e rallento ancora, ripensando ad altri boschi ben diversi, in cui vorrei trovarmi in quel momento, le grandi foreste di conifere fatte di vecchissimi abeti, alti trenta, a volte quaranta metri, che si ergono come le colonne di una cattedrale, con i raggi di luce che colpiscono i muschi del sottobosco… qui, decisamente, non è così. Non si vede niente, questi alberelli insignificanti sono tutti uguali, i rami e il caldo umido ci rallentano il passo. Dove ci siamo cacciati… "Sto andando troppo lento, sto rallentando gli altri", mi dico. Di questo passo, chissà quando arriveremo.
Un fruscio, più in alto, alla nostra destra. Un rumore di rami spezzati, più vicino. "Un capriolo!", penso. Ma subito capisco che non può essere così. Non è passato nemmeno un secondo, ed il rumore si sta avvicinando troppo rapidamente, dall'alto, verso di noi. I caprioli non corrono come pazzi in verticale giù per un pendio ripido, in mezzo ad un'intricata e fittissima vegetazione, in direzione degli uomini. Non può essere un capriolo. Ed ecco che appare. Si trova esattamente davanti a me. È alto almeno tre metri, ed ha l'aria antica, vissuta, coperto di muschi e licheni, segnato dalle intemperie. Mi ricorda uno di quei trolls dipinti da Kittelsen, il grande artista norvegese: potrebbe uccidermi, ma è affascinante. Procede maestosamente, con calma, frenato anche lui dai rami degli alberelli. È un macigno, e peserà alcune tonnellate. Molto più alto di noi. È sceso dall'alto, alla mia destra, e sta rotolando verso valle, a sinistra, attraversando il nostro sentiero, cinquanta centimetri davanti al mio naso. Troppo pochi, decisamente. Rotola con determinazione, senza fretta, e non lo ferma niente. Faccio a tempo ad osservarlo per quattro, cinque secondi, durante i quali passo dallo sbigottimento alla coscienza di ciò che sta accadendo. Passato il sentiero, si tuffa nel bosco alla nostra sinistra, e si allontana in basso. Ora capisco il rumore. Il grande sasso si era distaccato, chissà perché, molto più a monte, magari in cima alla montagna che c'è alla nostra destra, sopra al bosco, e poi aveva rotolato attraverso il bosco fino a noi, rallentato dalla vegetazione, ed ora stava ancora continuando a rotolare più a valle, giù a sinistra, e sarebbe andato a colpire chissà cosa. Ci blocchiamo, tesi, in ascolto. Era un masso solo, isolato, non una frana, per fortuna.
No, non stavo camminando troppo lento, quella volta. Andavo esattamente alla velocità giusta.
South Tyrol, one summer, some years ago. We have been walking for a long time, and I am not enthusiast. And we are going too slow. The fact is that we are lacking enthusiasm, and this makes us slow down. This secondary lateral little valley had looked attractive, from afar, but now that we are here we are not enjoying it too much. We are cutting across a woodland, moving horizontally, on a steep side of the valley. We have been proceeding for a long time in a monotonous environment, through an intricate shrubbery of broad-leaved plants, small young trees, very dense, impenetrable. We feel hot and humid, the moisture is annoying, the trail is too narrow, it's impossible to walk quicker, and the jungle of small trunks prevents us from seeing farther than one meter, sometimes less than that. It's almost dark, because the light does not pass through the very thick shrubs, and we must continuously keep away from us the tree branches, hitting our eyes and legs. "It's not funny", I say to myself, and I slow down again, while thinking of other, very different woodlands, in which I would like to be now, the great conifer forests made of tall and ancient firs, thirty or sometimes forty meters high, standing like cathedral columns, with the light beams gently striking the underwood mosses... Here, decidedly, it's not so. One can see nothing, these little meaningless trees look all the same, their branches and the hot moisture slow down our steps. Bah, what a place have we chosen... "I'm walking too slow, I'm slowing down the others", I think. Going on at this speed, who knows when we'll reach our destination.
A wheeze, high over us, on the right. A noise of broken branches, nearer. "A roe deer!", I think. But I realize at once that it cannot be so. Less than one second has passed, and the noise is approaching us too rapidly, from above. Roe deer do not run madly in a vertical direction, down a steep slope, through a thick and dense shrubbery, towards humans. It cannot be a roe. And, suddenly, it appears. It's exactly in front of me. It's at least three meters high, and has an ancient appearance, worn-out, covered with moss and lichens, weather-beaten. It reminds me of one of those trolls, painted by Kittelsen, the great Norwegian artist: it could kill me, but it's fascinating. It goes on its way majestically, calmly, its speed limited by the tree branches, like ours. It's a boulder, weighting some tons. Much taller than us. It came down from above, from the right side of our trail, and it's rolling downwards, to the left, down the valley, crossing our path some fifty centimeters in front of my nose. Too near, decidedly. It's rolling resolutely, with no haste, and nothing will stop it. I can keep watching it for four, five seconds, while I pass from astonishment to the full awareness of what is happening. It crosses our trail, then it drops into the woods, on our left side, and goes down, away. Now I can understand the reason of that noise. The great stone had separated from the mountain rocks, who knows why, in a much higher place, probably near the top of the mountain at our right side above the woods, and had kept rolling down the forest, to us, slowed down by the vegetation, and was now still rolling down the valley on our left, going to hit some unpredictable place. We stand still, tense, listening. It was a single rock, an isolated one, not a large rockfall, luckily.
No, I was not walking too slow, that time. It was exactly the right speed.
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